Arrampicarsi su per il sentiero e trovarsi giù nella Gola della Montagna

Questa escursione è capitata per caso, quando scoprimmo che solo da qualche mese un’ordinanza del Comune di Celano riapriva le Gole al turismo dopo anni di interdizione dovuta a pericolose cadute massi.

Cercammo di organizzarla in fretta, e saremmo dovuti essere Io, mia Moglie, in dubbio mia Figlia, mio Fratello e mio Nipote; poi non ricordo bene quale fosse stato il motivo (forse una febbre improvvisa che colse mio nipote), ma alla fine mio fratello e suo figlio ci comunicarono che non sarebbero più venuti.

Quindi rimanevano da risolvere alcuni problemi logistici.

In primis procurarci un caschetto, obbligatorio per percorrere quei luoghi: unica cosa potesse assomigliarci era il caschetto da ciclista e quello ce lo avevamo.

Poi c’era l’aspetto relativo al percorso congiuntamente al tempo che volessimo dedicare all’escursione. Le proposte furono molteplici, suggeriteci anche da amici del luogo. Se fossimo andati con mio Fratello avremmo avuto la disponibilità di due macchine, una da parcheggiare alla partenza (Celano) e l’altra all’arrivo (Ovindoli), così da poter percorrere il sentiero da Celano a Ovindoli e tornare in macchina al punto di partenza per recuperare quella lasciata lì; ma questa era ormai un’ipotesi da scartare.

Un’altra opzione era una variante della prima: lasciare la macchina all’inizio del percorso, seguire il sentiero fino ad Ovindoli e da lì prendere il bus per ritornare a riprendere la macchina; tutto questo, però, avrebbe raddoppiato i chilometri da percorrere e non so quanto avrebbe inciso in termini di tempo.

Optammo, anche se con un po’ di amarezza, per l’ultima proposta: andare con una macchina e percorrere lo stesso sentiero prima a salire e poi a scendere, rinunciando così a percorrerlo ad anello, così da ottenere un tragitto totale di circa 10km. Forse sarebbe risultato noioso il ritorno, ma d’altra parte non avevamo alternativa.

In dubbio rimaneva se far venire nostra figlia: desistemmo dall’idea, decisione che poi ci diede ragione.

Il sentiero inizia dal parcheggio di terra e brecciolino, e mostra da subito, anche se in maniera graduale, la stessa natura del luogo, ovvero quella di svilupparsi in altezza facendo assaporare non l’altitudine, ma la profondità.

Si entra prima nel bosco di conifere ma queste fanno già intendere che man mano si penetri all’interno della Montagna, la vegetazione dovrà, gioco forza, farsi più bassa, lasciando spazio ad arbusti ed alberi più piccoli.

Il sentiero si snoda principalmente ai bordi del greto di un torrente, secco in estate, e a tratti il passaggio ci costringe ad attraversarlo: alcuni angoli di quel fondo ciottoloso sembrano talvolta rimandare all’idea di un fondale marino.

Finché c’è vegetazione intorno a noi, si può solamente percepire cosa possa esserci sopra la nostra testa, oltre le chiome degli alberi. Presto le pareti rocciose si fanno più strette, lasciando, sul fondo, solamente lo spazio per i ciottoli, che più si sale più si fanno grandi; adesso, qui, si prende coscienza delle altezze di quelle due pareti che corrono tra loro parallele e che si stagliano impetuose verso il cielo.

In alcuni punti il percorso tra i ciottoloni, che ormai presto diventeranno veri e propri massi, risulta difficoltoso anche per noi adulti, e la difficoltà deriva semplicemente dalla natura del fondo di quel tratto che obbliga passaggi tra le pietre di dimensioni pari circa alla nostra statura. Figuriamoci cosa avrebbe dovuto affrontare una bambina di poco più di un metro d’altezza?

Scandiva l’ascesa del nostro cammino, il rapido sali e scendi di un giovane che, forse per sport, si sta allenando su quell’impervio percorso roccioso. lo avremmo incontrato 3-4 volte.

Le ottiche che portai con me risultarono da subito insufficienti a rappresentare tutta la straordinarietà di quei luoghi, immensi in altezza e stretti in larghezza, con rari e talvolta assenti punti di fuga che, in qualche modo, potessero giustificare il nostro stupore di fronte a tanta meraviglia. Unica cosa che mi è stato possibile fare è stato inserire nella scena qualcosa di famigliare che potesse fornire un’unità di misura a quella particolare bellezza.

Il solo pensiero che, dove stavamo camminando, vi fosse d’inverno l’acqua di un torrente e che, sopra la nostra testa, si sviluppassero pareti rocciose alte 100m, ci diede subito la consapevolezza di essere molto piccoli nei confronti di quella Natura, tanto da sentirci paragonabili a quei milioni di ciottoli bianchi che avevamo incontrato sotto ai nostri piedi.

A preannunciarci l’arrivo a nostra destinazione è la presenza sempre più frequente di pozze d’acqua che man mano che, si procede nel salire, si manifesta corrente: ci troviamo presso la «Cascata degli Innamorati». Dopo qualche momento di riposo, rinfrescatici da quell’acqua, riprendemmo la strada di ritorno.

Salire e scendere per lo stesso sentiero è stato tutt’altro che noioso; questo mi ha permesso di ammirare e soffermare lo sguardo, nonché la macchina fotografica, su dettagli che al momento della salita non potevano emergere: uno tra tutti fu il gioco di luce e colori dovuto alla diversa angolazione del sole rispetto a quella profonda fessura ricavata nella roccia. I raggi della nostra stella riuscivano finalmente a penetrare, qua e là, internamente nella Gola della Montagna.