Come catapultati nelle pagine di un libro

Trovarsi dall’altro lato del fiume è già sufficiente a cambiare la chiave di lettura di quel paesaggio a noi famigliare.

16 Agosto 2020 – Appena giunti in Abruzzo, abbiamo già una voglia, quasi frenetica, di recuperare il tempo perduto nel lockdown primaverile, un desiderio sfrenato di immagazzinare nei nostri cuori, nei nostri occhi e nei nostri polmoni, emozioni, vedute e quanta più aria di Natura possibile.

Posati i bagagli, ci preparammo subito per la prima escursione: 8km di sentiero ad anello, 250m la differenza di quota tra massima e minima; ogni volta ci tengo a sottolineare la grandezza oggettiva “differenza di quota max-min”, perché, soprattutto in un percorso montano, non è detto che coincida con i reali metri guadagnati/persi in elevazione, che -in questo caso specifico – risulteranno essere quasi 400m.

Parcheggiammo a Pescina. Eravamo io, mia moglie e la nostra piccolina tanto entusiasta di provare i suoi nuovi scarponcini.

Oltrepassato il Giovenco, per mezzo di un ponticello pedonale, ci trovammo subito avvolti da un’atmosfera di serenità, come se avessimo chiuso dietro di noi la porta alla città e alle relative preoccupazioni.

Sarebbe stato impensabile vedere dal lato opposto del fiume, ovvero quello famigliare, quello della strada frenetica spesso percorsa, ciò che ora vedevamo con la tranquillità scandita solo dai nostro passi. Sul sentiero che costeggia il fiume, un Martin Pescatore ci fece compagnia per brevissimo tempo, ma un tempo sufficiente per farci rendere conto che l’avventura stava iniziando.

Dopo un primo e piccolissimo errore di percorso che ci portò su uno slargo senza uscita nei pressi di un laghetto artificiale, tra l’altro comunque fantastico, tornammo indietro per arrampicarci là dove il «Sentiero Silone» aveva nascosto il suo principio.

Il percorso iniziò subito bene: lo ritenemmo sin dai primi passi in grado di soddisfare la nostra voglia e desiderio di cammino, tanto è che, quel primo tratto, pur mettendo a dura prova le nostre gambe intorpidite dall’immobilismo del lockdown, ci fece voltare pagina.

E sì, voltammo pagina e ci trovammo inconsapevolmente come catapultati in quelle di un libro, dove le 13 tappe del sentiero, alle nostre tre anime assetate di natura selvaggia, risultavano come segnalibro dei capitoli di un romanzo.

Riprendemmo il sentiero. Nella prima parte, il «serpentone» si snoda principalmente lungo il corso del Giovenco, immerso nella Natura del bosco; lì si può ascoltare il vento tra le foglie e lo scroscio insistente delle acque del fiume. Ma ancora per poco perché, raggiunta una zona non molto distante dalla civiltà, e benché esistesse ancora il divieto di assembramenti, motivo per il quale quest’anno optammo per una vacanza immersa nella natura, iniziammo ad udire musiche e schiamazzi provenire dal fiume, forse di turisti o gente locale (chissà!?), ad ogni modo radunati come in piccoli accampamenti per festeggiare l’ormai passata festa dell’Assunzione.

Dalla tappa VIII – «una manciata di more» – il sentiero, per un po’ si allarga per dare spazio ad una vegetazione più bassa, e poi inizia nuovamente a puntare dritto verso il cielo, inoltrandosi nel bosco.

A metà circa della salita la civiltà è visibile solo perché siamo tanto in alto da poter vedere molto lontano. A ricordarci della presenza dell’uomo c’è la vista, sullo sfondo, del fiume di asfalto dell’autostrada, una catena di cavi dell’alta tensione, che ormai ci ha raggiunti, e una carcassa di una macchina agricola cingolata che ormai sembra anche lei aver messo radici.

Qui finisce nuovamente il bosco, meno fitto del precedente, per far spazio ad un paesaggio naturalistico tipicamente abruzzese: erba e arbusti che ogni tanto fanno capolino dietro qualche escrescenza di roccia bianca, e poi quello che rimane, è vento, nuvole e tanto cielo.

Il sole pungente, che in ogni momento ci ricorda che siamo in estate, gioca con Il vento che soffia per darci sollievo, elementi questi che ci accompagneranno in cresta e non ci abbandoneranno più se non, forse, alla fine del nostro percorso.

Seguendo il sentiero serpeggiante tra la steppa, raggiungiamo la IX tappa, anticipata da uno spettacolare cielo di soffici nuvole bianche e dal riflesso abbagliante del cartello «Fontamara». Solamente ora, e qui, ci accorgiamo quale fosse il titolo del romanzo che stavamo percorrendo.

Apparentemente lontani dalla civiltà, dove sembra che il vento e il sole regnino da soli amichevolmente, un altro elemento naturale si manifesta alla nostra vista: un branco di cervi che, in pochi istanti, si dissolve nel paesaggio montano come farebbero, scoperti, tanti folletti di una natura incantata.

Scendiamo, seguendo il sentiero, sulla dolce cresta che si dirige verso Pescina. Qui non siamo troppo in alto ma ad un’altezza comunque sufficiente per avere gran parte della visuale occupata dalla piana del Fucino e dalla catena montuosa che la circonda.

La discesa è interrotta ogni tanto da piccole salite e, tra sentieri erbosi e ghiaioni, entriamo nella pineta situata nelle immediate vicinanze del centro abitato, e a darcene un chiaro segnale è la bandiera italiana sventolante sul monumento ai caduti. Una breve sosta per bere e fare qualche fotografia alla città da questo punto inusuale, alla torre e alla tomba di Silone, poi di nuovo in paese per raggiungere la macchina.

Anche questa volta la Natura mostra la sua lealtà ripagando la stanchezza di tutti gli sforzi fatti, lasciandoci i ricordi di quelle bellissime emozioni da annodare felicemente nel cuore come tanti piccoli fiocchi.