Sulle Orme di Mamma Orsa

Agosto 2020: non avendo potuto organizzare alcuna vacanza precisa, a causa dell’incertezza dovuta alla pandemia di COVID-19, decidemmo di recarci in Abruzzo, nel bel mezzo del Parco Nazionale d’Abruzzo-Lazio-Molise, per riprenderci un po’ dal lungo lockdown primaverile.

Organizzai con cura una serie di “Avventure” da praticare con la famiglia, non molto lontane dal luogo dove avremmo alloggiato, della durata massima di una giornata; portiamo spesso con noi nelle “Missioni” nostra figlia di soli 5 anni, ottima camminatrice, ma questa che stavamo per compiere era troppo impegnativa per lei, così la lasciammo con i Nonni.

21 Agosto – Il percorso ad anello che ho organizzato (seguendo i sentieri segnati V3 e V4) prevedeva la partenza e l’arrivo ad Aschi Alto, il passaggio nelle vicinanze di San Sebastiano e Bisegna e, a metà circa del tragitto totale, il raggiungimento di un borgo – ormai disabitato – “Sperone” (Gioia dei Marsi). Poco meno di 12Km con una variazione di altitudine di circa 360m, tutti concentrati a metà del percorso e collocati in poco più di 600m sulla cartina.

Proprio in quei giorni erano stati avvistati nel centro abitato di San Sebastiano un’Orsa e i suoi piccoli, così dopo un attimo di esitazione, telefonai al numero della guardia parco per avere informazioni circa l’eventuale pericolosità di questi sentieri, relativamente alla difficoltà e impegno fisico, sia relativamente all’eventuale presenza di animali selvatici reputati pericolosi.

La guardia parco mi tranquillizzò e mi rassicurò su tutto, soprattutto sull’argomento Orsa: dal punto di vista statistico mi evidenziò che l’orso non è un animale stabile, si muove in cerca di cibo e riparo su un territorio, come il parco, così ampio che, appunto, la probabilità di incontrarlo sarebbe stata bassissima, e poi mi rassicurò ulteriormente svelandomi il vero comportamento di questo animale selvatico dal carattere principalmente schivo e poco aggressivo.

Mi lasciai convincere da quelle parole, consigli e suggerimenti e non desistemmo dall’idea di intraprendere quel sentiero, anche se in noi la lotta tra coscienza e incoscienza, tra coraggio e paura, tra voglia di vivere all’aria aperta e pensiero del passato lockdown, faceva ogni tanto vacillare quella piccola sicurezza offerta da quella telefonata, facendoci pensare che, ad ogni modo, si sarebbe trattato, anche se in maniera remota, di un incontro a tu per tu con un bestione di due quintali con quattro cuccioli al seguito. Decidemmo di chiudere per una volta gli occhi dell’ansia e del timore, e aprire il cuore all’avventura.

Volevamo partire al mattino, con la prospettiva, che se qualcosa non fosse andato come previsto, avremmo avuto di fronte a noi tutte le ore di luce della giornata; purtroppo questo pensare e ripensare fece slittare la nostra partenza al pomeriggio.

C’erano delle difficoltà da risolvere partendo nel pomeriggio.

Prima di tutto in quei sentieri assolati i sassi e le rocce bianche avrebbero amplificato ancora di più il caldo estivo e la conseguente esigenza di bere, fu per questo che optammo per una bottiglia d’acqua in più, e che reputai di percorrere l’anello in senso orario così da trovare ristoro nell’ombra della montagna e tra gli alberi del bosco nelle ore più calde del pomeriggio. In secondo luogo c’era la problematica di avere poco margine sul tempo di percorrenza a causa delle ore dimezzate della luce: le poche ore di luce non ci avrebbero concesso né errori grossolani sul percorso, né soste troppo lunghe per il riposo e la fotografia.

La preoccupazione di non riuscire a concludere un sentiero per l’imbrunire è un pensiero che mi accompagna spesso nei percorsi che offrono parecchie variabili d’incertezza.

Giungiamo ad Aschi, un paesino di pochi abitanti e altrettante abitazioni, quasi che si riescano a contare sulle dita delle due mani, un bar e una chiesa. Parcheggiamo la macchina davanti alla chiesetta, dove poi abbiamo scoperto l’inizio del sentiero V4.

Ci arrampichiamo per qualche chilometro su questo sentiero caldo, roccioso e privo di ombra, per poi riscendere verso la valle dove scorre il Giovenco. Qui il sentiero costeggia il fitto bosco, e quando pensiamo di aver raggiunto un luogo sicuro un po’ all’ombra, ecco che iniziamo a sentire i primi segnali di una natura viva, fatta di fruscii e di sibili; sarà forse stato il vento? Ci interroghiamo senza dare una risposta certa e più l’incertezza aumenta, più la nostra voce diminuisce per favorire l’ascolto e per dare spazio ad un passo sempre più veloce: in poco tempo ci troviamo con il fiato corto senza un’evidente manifestazione di pericolo.

Come un richiamo della Foresta, ogni volta che mi immergo nella Natura mi sembra di fare un viaggio in me stesso, pieno di insidie e pericoli auto-imposti, come in un sogno in cui ci si rende conto che è tutto frutto dell’immaginazione, ma risulta impossibile con la sola razionalità uscirne fuori.

Tornati in noi, dopo un attimo di presa di coscienza, riprendiamo più calmi il sentiero, stavolta più cauti, sempre con le orecchie tese a captare il benché minimo suono reale sospetto: la preoccupazione che rimane o la nostra speranza -dipende dal punto di vista in cui ci si vuole porre nei confronti del problema – è di non trovarsi involontariamente frapposti tra l’Orsa, che girovaga in queste zone, e i suoi quattro cuccioli. Una piccolissima seppur vacillante sicurezza, ci viene fornita dall’idea che il sentiero si snoderà ancora per un po’ in prossimità di piccoli centri abitati: San Sebastiano – dove tra l’altro l’Orsa era stata avvistata il giorno prima – e Bisegna.

Il sentiero presso San Sebastiano finisce dentro un recinto elettrificato, da cui facilmente riusciamo ad uscire. E’ strano e curioso, ma comune nei luoghi di montagna, confondere un bene demaniale con uno privato, come è stato appunto questo recinto adibito probabilmente a stalla.

Proseguiamo per una strada sterrata che dal paese si inerpica aggirando la cima di Colle Arienzo. Qui tutto sembra essere ritornato più ad una dimensione familiare da uomo civile. Poi la strada si fa sempre più sconnessa, e prima di introdurci nuovamente nel bosco riusciamo a vedere, non molto lontano da noi, due Poiane che volteggiano nella porzione di cielo di Bisegna.

Da qui il sentiero, che entra nuovamente nel bosco, iniziò a farsi veramente duro, tra il caldo e i Tafani che non ci davano tregua: tutto in salita in una vegetazione che sembra ostile e quasi impenetrabile, e seppur il sentiero risulti segnato, spesso a fatica troviamo il segno bianco-rosso in questa vegetazione.

Il GPS ci indica che quella è la strada, ma forse poco prima c’era un bivio? Ci viene il dubbio di aver sbagliato, forse abbiamo intrapreso un vecchio sentiero lasciandoci alle spalle il nuovo più agevole?

Nel momento di valutare se proseguire o se tornare indietro per verificare l’esistenza del nuovo sentiero che penetra più internamente nel bosco e sale più dolcemente (con tutto ciò che ne conseguirebbe sul fattore tempo e crepuscolo)… Ecco un boato, dall’interno del bosco, terrificante alle nostre orecchie! Sarà forse Lei, l’Orsa che si è accorta della nostra presenza?

Per un attimo in preda al panico, cerco di convincermi e soprattutto convincere mia moglie, compagna di viaggio, che è stato solo un bramito, ma nessuno dei due ci crede fino in fondo, così ci arrampicammo con tutte le nostre forze allo stremo del fiato disponibile.

Unica strada è quindi salire: 460m di dislivello tra radici, rami, segni bianco-rossi poco visibili, e fogliame che tramuta l’instabilità emotiva in una fisica: il piede sembra non essere mai ben saldo.

Il timore di essere raggiunti ci fa da motore nell’estenuante salita, con i Tafani poi sempre nostri inseparabili compagni.

L’umidità del sottobosco e il caldo di una giornata estiva continuavano a farsi sentire: poche furono le pause, e tra l’altro anche brevi solo per bere un po’. Ovunque si sentivano passi e fruscii tra il fogliame, senza che ci rendessimo conto se provenissero dal nostro animo o dall’ambiente reale circostante. Siamo confusi, ma decisi nell’intento di raggiungere la cresta il prima possibile, sperando ancora di vedere il sole.

Iniziamo a vedere la luce tra i rami del bosco e la pendenza si fa sempre più dolce: presto ci saremo sentiti in salvo.

Usciti dal bosco, prima alcuni cespugli e poi il sole del pomeriggio basso e accecante ci impediscono ancora la vista, ma da lì a poco, si sarebbe aperto ai nostri occhi uno spettacolo mai visto, filtrato anche dalla nostra precedente condizione.

Il paesaggio montano da questo lato si presenta roccioso e ostile, come se l’unico abitante possibile potesse essere il vento, i gradoni di roccia partono dalla cima e man mano che scendono si fanno più bassi e più larghi come a creare una discesa discontinuamente ripida in cima e più dolce alla base, fino ad arrivare sulla Piana del Fucino.

Da qui il paesaggio è fortemente suggestivo, l’angolo di visuale è sorprendentemente ampio e il sole, che è posizionato diametralmente opposto a noi e che ormai volge lentamente al tramonto, mette in evidenza la leggera foschia che, rimanendo bassa, non riesce a nascondere la catena montuosa che corona la piana.

Il vento e il paesaggio ci ristorano e tranquillizzano finalmente l’animo; la sola preoccupazione resta il controllabile fattore imbrunire.

Proseguiamo spediti sul sentiero V3. Nel tratto dove si fa sempre più stretto, delimitato da un lato dalla solida roccia della montagna e dall’altra da una ripida discesa verso la piana, una sorpresa ci attendeva: dietro ad una curva del sentiero attorno ad un blocco roccioso, una mandria di Cavalli allo stato brado procedeva tranquillamente sul nostro stesso sentiero ma nel verso opposto. Ho incrociato spesso lo sguardo perplesso del capo mandria, o presunto tale, e in questa circostanza come dargli torto? Ero perplesso anche io, che capeggiavo la mia piccolissima fila!

Saremo rimasti a guardarci indecisi per qualche minuto in attesa che qualcuno, tra noi tutti, Uomini o Cavalli, intraprendesse per primo un’azione risolutiva sul da farsi. Anche questo è stato uno spettacolo, e per farlo durare più a lungo, decisi che fossimo noi ad indietreggiare e cedere il passo a quella sfilata straordinaria di Natura e Forza Selvaggia.

Riprendiamo per l’ultima volta la strada che ci riporterà ad Aschi Alto, e non molto distante da dove avevamo lasciato la mandria, ecco erigersi i ruderi del vecchio borgo Sperone e la sua torre.

L’imbrunire era ormai vicino ed anche se è stato complicato distogliere lo sguardo da quel paesaggio carico di emozioni vissute e da vivere, ci siamo fatti forza per farlo, precludendoci così la possibilità di raggiungere il borgo e visitarlo come avremmo voluto.

Il sentiero man mano che ci si avvicina alla “civiltà” ritorna più largo tanto è che pian piano sarebbe poi diventato, prima una strada sterrata, e poi asfaltata nelle immediate vicinanze di Aschi.

Rapiti da tutta quella bellezza, non abbiamo rinunciato a tornarci il giorno seguente, per altre strade più agevoli, lì dove si dice che ci sia il Balcone più bello della «Marsica»

22-08-2020