Questione di statistica… nel silenzio della montagna

Silenzio nel cuore della montagna

Dalle ferie in Toscana torno riposato, ma con una gran voglia di riprendere gli allenamenti; lì ne ho fatte di passeggiate, ma mi sono mancate le mie: quelle con dislivello.

Ho camminato con i ritmi della famiglia: percorsi semplici, percorsi pressoché pianeggianti, sulla spiaggia, in campagna, in collina…

Ora ho a disposizione un fine settimana in Abruzzo, e lo prenderò al volo.

Prima di ogni escursione, come è mio solito, il pensiero va alla famiglia, perciò, prima di organizzarmi, chiedo se qualcuno abbia voglia di venire con me; mia moglie e mia figlia, probabilmente, vedendomi scalpitare per il desiderio intimo di macinare dislivello, decidono di lasciarmi andare… Solo.

Io gioisco di questa loro scelta che mi consente di sentirmi libero di procedere con il mio passo.

Quando sono in solitaria condivido con mia moglie, per qualsiasi evenienza, il Live del tracciato.

Ora sono pronto, scendo verso il fiume Giovenco, e lo attraverso dal nuovo ponte in ferro; da qui il Peschio Pecoraro è tutta sulla mia testa.

Il sentiero, con pendenza regolare, sale come un serpente tra le rocce e i profumatissimi arbusti di timo in fiore.

Cammino per salute, ma anche per godere di spettacolari scenari che si costruiscono attraverso la vista, l’udito e l’olfatto.

Questi paesaggi di montagna mi inebriano: le alte rocce calcaree che sporgono prepotentemente da una bassissima vegetazione, sono così aspramente affilate che tagliano il vento lasciando nell’aria il suo sibilo.

Durante il tragitto decido di cambiare la meta che mi ero prefissato: voglio arrivare in cima al Monte Civitella, per quanto mi è possibile, visto che lassù la zona è recintata, probabilmente per impedire ad animali al pascolo di precipitare giù dalle improvvise e inaspettate pareti rocciose.

Questa zona di montagna generalmente è popolata di cervi, non che se ne debbano necessariamente vedere, ma non è insolito ascoltare i loro bramiti, o i loro passi tra i ghiaioni. Ma oggi, stranamente, la montagna è silenziosa.

La mancanza di allenamento si fa sentire sulla velocità di passo e soprattutto sul fiato, che ogni tanto si fa corto costringendomi spesso a delle soste. Ne approfitto per ammirare il paesaggio, la valle del Giovenco e Ortona dei Marsi.

Percorsi i tre tornanti si arriva in una piccola zona pianeggiante e ciottolosa: la «Sella» tra Peschio Pecoraro e Monte Civitella.

Qui noto che per un piccolo tratto la recinzione è a terra, il che vorrebbe essere sicuramente un invito ad entrare per raggiungere, prima il bosco di conifere e poi la vetta; ma il vincolo, seppur allettante, di continuare la mia passeggiata chiuso in un recinto non mi farebbe sentire al sicuro, così decido di procedere costeggiandolo dall’esterno.

Ben presto però la natura di questa parte di montagna mi dissuade dal raggiungere la cima da questo lato e mi suggerisce pian piano un altro percorso: un sentiero che scende più sicuro a una ventina di metri al disotto della recinzione. Poco dopo, quest’ultima non è più visibile ai miei occhi, è da qualche parte sopra la mia testa: a separarci c’è una parete rocciosa via via sempre più alta e verticale.

Proseguendo, il sentiero scompare e il cammino si fa progressivamente più impervio, costringendomi a saltellare con lo zaino tra un appoggio incerto e l’altro… per andare dove?

Decido dunque di fermarmi sotto ad un abete. Sopra di me oltre la recinzione, oltre il bosco di conifere, lì proprio nel cielo azzurro, volteggiano due aquile.

Guardandomi intorno ad ammirare il paesaggio, mi accorgo che oggettivamente non sarei potuto andare oltre: avevo raggiunto il cuore della montagna.

Mi riposo, scatto qualche fotografia e mi rimetto sul cammino di ritorno seguendo, con qualche errore prima e qualche variante poi, il percorso dell’andata.

Sulla sella, lì dove il sentiero si ricongiunge a quel tratto di recinzione a terra, inciampo in un infimo filo spinato nascosto tra gli arbusti, che costa uno strappetto sulla tamoia dei miei fedelissimi scarponcini: accetto con dispiacere l’accaduto con l’unica consolazione di interpretare quell’inconveniente come indice di esperienza sul campo.

Malgrado questo, continuo per la strada di ritorno fino a casa. In tutto il tragitto un sentimento di stupore e incredulità mi accompagna: sulla montagna ancora tutto tace.

Questione di statistica… prima o poi ci saremmo dovuti incontrare!

Mi sto preparando per un concorso fotografico sulla fauna selvatica, ma visti i precedenti, non credo di riuscire a portare a casa qualcosa di interessante. Comunque i temi vertono sulla Natura in generale del Parco Nazionale Abruzzo Lazio e Molise, così decido di ripercorrere la strada di ieri, fermandomi a fotografare insetti e farfalle tra i cespugli di timo.

Una parte di me è amareggiata dalle prospettive emerse dal sopralluogo del giorno precedente, ma ripeto tra me e me che passeggio per salute, per ricercare e trovare un equilibrio interiore, e non esclusivamente per partecipare a concorsi fotografici.

Scendo al fiume, oltrepasso il ponte e mi incammino sul sentiero di salita.

Qui è veramente difficile non accorgersi dei cespugli di timo, e in questi casi è il naso che guida gli occhi.

Gli insetti sembrano inebriati dal profumo aromatico di questi fiori, così colgo l’occasione di goderne anch’io, scattando loro tranquillamente qualche fotografia.

Proseguo sul sentiero, cercando di tenere a mente le svolte nascoste e i passaggi sbagliati il giorno precedente: la cima mi chiamava e con lei le aquile… unici animali selvatici che avevo incontrato il giorno prima.

Mentre ero concentrato sul ritmo del passo, sul sentiero e sulla meta, da dietro un cespuglio non lontano da me, una femmina di cervo e il suo cucciolo si accorgono della mia presenza e con aria intimorita e prudente risalgono lentamente la verticale della montagna; così facendo si allontanano rapidamente da me che invece salgo dai tornanti.

Non mi fermo e, continuando a camminare per la mia strada, riesco comunque a seguirli, con gli occhi, sperando di poterli raggiungere lì sulla sella.

Al terzo tornante, non riesco più a vederli, colgo l’occasione per riposarmi un po’ sotto ad un albero solitario scattando qualche altra fotografia al paesaggio, e poi mi rimetto in cammino…

Non manca molto alla sella, e da lì riesco di nuovo ad individuare i cervi. Ma stavolta il loro comportamento è diverso, molto diverso, risultano evidentemente più nervosi nel procedere e nel salire con continui cambiamenti di direzione…

Mi interrogo. Sono troppo lontano per aver suscitato in loro tutto quel nervosismo, concludo.

Sono ormai a qualche decina di metri dalla sella, lì dove c’è il passaggio nella recinzione, lì dove c’è in agguato il maledetto filo spinato, e ammirando e contemplando tutto quel panorama così sorprendentemente selvaggio, l’occhio cade su un particolare: prima una e poi due sono le macchie grigiastre che scendono sicure e rapide dal bosco di conifere.

Non riesco bene a distinguerle, un po’ per la lontananza e un po’ per il sudore che dalla fronte mi cade sugli occhi, ma a prima impressione guardo senza riflettere e penso siano cinghiali. Ce ne sono in zona, e li ho già visti altre volte, ma poi qualcosa nella loro sagoma mi disorienta… man mano si avvicinano e prendono forma, continuo a guardare senza riflettere, forse per la fatica della salita, forse per il caldo, ma quella loro grossa coda pelosa non mi convince. Intanto proseguo più lentamente il cammino verso la sella, concentrato a decifrare cosa avessi davanti.

In un istante, non solo davanti ai miei occhi, ma anche difronte alla mente tutto era improvvisamente messo a fuoco, e finalmente si chiarisce anche l’inspiegabile nervosismo dei cervi: non ero il solo a seguire quegli animali.

Ne ho avuto la certezza assoluta solo quando la curvatura della montagna mi ha permesso di delineare e definire quei profili grigiastri con il contrasto del cielo: a un centinaio di metri da me, senza alcuna barriera pronta a dividerci, visibili come pesci rossi in acqua cristallina, c’erano dei Lupi.

Questione di statistica… prima o poi ci saremmo dovuti incontrare!

Non so se mi abbiano visto, e qualcuno potrebbe ribattere che sicuramente mi hanno sentito (col naso), fatto sta che, dopo essermi accorto dell’impari concorrenza nell’inseguimento di quei due cervi, mi sono arrestato, ho scattato furtivamente qualche fotografia e, cedendo loro il passo, girando gradualmente le spalle ho ripreso con calma apparente la strada di ritorno.

Certamente colto alla sprovvista, e psicologicamente poco preparato, l’importante è stato per me aver mantenuto la lucidità di nervi saldi e la prudenza.

Un’esperienza bellissima ed emozionante, non solo da vivere ma anche da raccontare: quell’immagine del lupo sulla cresta, non potrò dimenticarla facilmente.

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